Sento che l’esperienza della fraternità è davvero decisiva per tutti perché è la natura propria del discepolato cristiano che ci porta a condividere l’esperienza di essere famigliari di Cristo, perché Lui ci ha cercato come suoi fratelli e lo ha desiderato con tutto sé stesso. E fin dagli scritti sorgivi dell’esperienza salesiana si coglie il fatto che chiunque incontri una comunità salesiana, ecco, incontri la possibilità di stare a casa, si senta a casa propria. Il numero sedici della Costituzione della società di San Francesco di Sales, recita così: 

Don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse “a casa sua”.

La casa salesiana diventa una famiglia quando l’affetto è ricambiato e tutti, confratelli e giovani, si sentono accolti e responsabili del bene comune.

In clima di mutua confidenza e di quotidiano perdono si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto e i rapporti vengono regolati non tanto dal ricorso alle leggi, quanto dal movimento del cuore e dalla fede.

Tale testimonianza suscita nei giovani il desiderio di conoscere e seguire la vocazione salesiana.

Ecco il testo centrale su cui vale la pena spendere le proprie energie intellettuali, affettive; starci sopra, lasciando che questo testo ci perturbi, perché può tirare fuori la dimensione più serena della nostra appartenenza a una casa, anche quelli che sono gli elementi di criticità. Ed è per questo che vorrei proprio partire per dirci che quando usiamo delle parole così impegnative, serie, dell’esperienza umana oltre che cristiana, cioè: casa, fratello, famiglia, dobbiamo provare a svuotarle da ogni dimensione retorica: avere tutti agganciato nella vita l’esperienza dell’incontro con il Signore. Non è detto che ci approssimi com’è suo desiderio, ma a volte ci trovi piuttosto ancora più agguerriti e distinti.

A volte è più facile potersi incontrare con qualcuno che è lontano da te. La fraternità è un’esperienza che a volte è più facile vivere in una dimensione in cui si è lontani per trovare delle emozioni del cuore, anche le più intense. Con i vicini questo non è mai ovvio. La fraternità, quindi, non è mai un’esperienza automaticamente serena. Varrebbe la pena che ciascuno di noi si fermasse un attimo e si chiedesse: ma io, anche semplicemente nella mia storia famigliare, a casa mia, che qualità di rapporti registro rispetto alle mie dimensioni affettive? Con un fratello, con una sorella, sempre tutto bene? Non ci sono dimensioni di fatica, non ci sono delle cicatrici? Avete voi addosso qualche segno di scontro avuto con un fratello o una sorella quando eravate piccoli? Io qualcuno ce l’ho addosso!

I fratelli spesso si definiscono proprio per differenza. Quindi, la parola fratello dice, in primo luogo, che tu non hai scelto chi hai accanto, il salesiano, la salesiana, il collega, la collega che sono con te in oratorio, nella scuola, nell’associazione, che si trovano con te nella comunità famiglia, nelle esperienze missionarie, in parrocchia. Non li hai scelti tu! Il fratello è qualcuno che ti è posto accanto come dono; un dono spesso spiazzante, per cui sei molto spesso persuaso che in alcune vicende educative, se facessi da solo, faresti meglio. Spesso siamo persuasi del fatto che non dobbiamo agire da soli nella missione e che la fraternità sia l’unica forma veramente feconda di vivere insieme la missione salesiana, missione cristiana; però, talvolta, tu potresti dire di te che da solo riusciresti a vivere una situazione più serena, che agire da solo è più semplice è più efficiente; invece può essere più pericoloso, potenzialmente molto pericoloso. Lavorare insieme è più complesso, più conflittuale, ma più generativo.

È la dimensione sfidante della missione cristiana; essere quel plurale che tenta continuamente di convergere sull’unita del Cristo, sul carisma che ci appassiona e che ci può rendere fecondi.

don Mario Pertile
Delegato