Questa volta, con profonda tristezza e commozione per la scomparsa del Santo Padre Francesco avvenuta lo scorso 21 aprile, lunedì dell’Angelo, voce veramente autorevole e per tutta la Chiesa per tanti anni, stimolo per tutti ad affrontare gli impegni della vita in tutte le circostanze e nei vari ambienti in cui veniamo a trovarci, affinché il nostro essere “exallievi di Don Bosco” sia una testimonianza credibile, voglio lasciare il giusto e doveroso spazio al suo ricordo riportando alcune delle sue preziose parole che testimoniano l’ultimo periodo della sua vita terrena caratterizzato dalla malattia e vissuto in pienezza della grazia di Dio sino all’ultima benedizione “Urbi et orbi” della domenica di Pasqua di Resurrezione.

Nella lettera che Papa Francesco aveva scritto al direttore del Corriere della Sera, in risposta ad un suo messaggio di vicinanza al Pontefice in quel momento di malattia durante il ricovero in ospedale, in cui gli chiedeva di ribadire un appello per la pace ed il disarmo, il Santo Padre scrisse:

Desidero ringraziarla per le parole di vicinanza con cui ha inteso farsi presente in questo momento di malattia nel quale, come ho avuto modo di dire, la guerra appare ancora più assurda. La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità. Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro ed intelligenza ad informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole! Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità.

Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità. Le religioni, inoltre, possono attingere alle spiritualità dei popoli per riaccendere il desiderio della fratellanza e della giustizia, la speranza della pace. La guerra è assurda: disarmate la Terra! La guerra è sempre, sempre una sconfitta! Tutto questo chiede impegno, lavoro, silenzio, parole. Sentiamoci uniti in questo sforzo che la Grazia Celeste non cesserà di ispirare ed accompagnare”.

Nel testo che il Pontefice preparò per l’omelia della Santa Messa in occasione del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, scrisse:

La malattia è una delle prove più difficili e dure della vita in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili e, anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza e perciò a Lui possiamo dire ed affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”. E, rivolgendosi ai medici: “Permettete che la presenza dei malati entri come un dono nella vostra esistenza per guarire il vostro cuore, purificandolo da tutto ciò che non è carità e riscaldandolo con il fuoco ardente e dolce della compassione. Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno. Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio ed ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire. La camera dell’ospedale ed il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore ed io sento il dito di Dio e sperimento la sua carezza premurosa”.

Papa Francesco, soltanto un paio di mesi prima della morte, nella prefazione del libro del Cardinale Scola, scrisse:

La vita eterna è iniziare qualcosa che non finirà! La morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa. È un nuovo inizio, perché è la vita eterna, che chi ama già sperimenta sulla terra dentro le occupazioni di ogni giorno, è iniziare qualcosa che non finirà. Ed è proprio per questo motivo che è un inizio nuovo, perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’Eternità!”.

Grazie Papa Francesco!