Nel pomeriggio del 22 aprile ci siamo ritrovati con Sergio Picco, Don Lello e gli amici di Penango in una delle zone più suggestive di Roma, alle spalle del ghetto ebraico, per andare alla ricerca di luoghi lontani dai percorsi turistici di massa.

Il gruppo, molto affiatato, ha ammirato i resti del monumentale porticato dedicato da Augusto alla sorella Ottavia, concepito in origine come spazio espositivo di opere d’arte e poi invece destinato a mercato del pesce e ingresso alla chiesa di S.Angelo in Pescheria.

Di lì ci siamo diretti al teatro di Marcello, dove ci siamo riuniti con Barbara, Danilo e la piccola Michela. Si tratta del solo teatro antico rimasto a Roma, iniziato da Giulio Cesare e dedicato da Augusto all’amato nipote scomparso prematuramente; contava di 41 arcate ed è un esempio di riuso nel tempo, infatti divenne cava di materiali, fortezza e in età rinascimentale, nel piano attico, palazzo patrizio.

Proseguendo verso la zona dell’antico Foro Olitorio (mercato delle erbe) ci alleniamo a riconoscere sui fianchi e sul fronte della Chiesa di S. Nicola in Carcere pezzi di colonne e scalinate appartenenti a templi classici.

Quest’area, sulla riva sinistra del Tevere, era occupata dalla palude del Velabro che fu bonificata dai re etruschi con la costruzione della Cloaca Maxima, ancora oggi funzionante, di cui abbiamo scoperto l’imboccatura seminascosta dalla vegetazione.

In questa zona detta del Foro Boario (mercato del bestiame), dove sarebbe stata trovata la cesta contenente Romolo e Remo, gli scambi, favoriti dal basso livello dell’ansa del fiume, erano attivi già dall’VIII sec.

Scorgiamo una lunga fila di turisti lungo la parete sinistra del portico della Chiesa di S. Maria in Cosmedin, ricostruito dopo l’attentato del 1993: qui è custodito un reperto profano, il mascherone rappresentante una divinità fluviale che era in realtà un antico tombino. Leggenda vuole che la bocca sia in grado di stabilire se chi mette la mano nella fessura stia mentendo oppure no.

Dopo aver scattato una foto di gruppo davanti alla fontana del Tritone salutiamo alcuni che decidono di rientrare in albergo ed entriamo nella chiesa, oggi dalle fattezze romaniche, dove si officia secondo il rito greco-melchita.

Scesi nella cripta, scopriamo i blocchi di tufo dell’Ara Maxima dedicata ad Ercole dal re latino Evandro. Infatti è ambientata proprio qui una delle 12 fatiche di Ercole, quella della lotta contro il mostro indigeno Caco per il possesso delle vacche di Gerione, a testimonianza dei continui contatti con i Greci.

A Ercole Vincitore è dedicato anche il Tempio Rotondo risalente al II sec. a.C. noto come Tempio di Vesta, il più antico edificio in marmo di età repubblicana, mentre è di pianta rettangolare il tempio del dio Portunus (protettore del vicino porto fluviale) recentemente restaurato: entrambi sono stati trasformati in chiese.

Dopo un’incursione sull’Aventino al Roseto Comunale, dove non abbiamo potuto ammirare la fioritura, ma il magnifico panorama del Circo Massimo e del Palatino, siamo ritornati sui nostri passi per incontrare il Card. Ravasi che ci ha accolto calorosamente nel giardino della Chiesa di S. Giorgio in Velabro.

Qui c’è stato tempo per i saluti e le foto di rito, grazie alla disponibilità di Sua Eminenza in procinto di celebrare la Messa Scout. All’uscita ancora uno sguardo a monumenti poco noti di età imperiale: l’arco degli Argentari, uno degli accessi al Foro Boario eretto in età severiana dalla
corporazione dei cambiavalute e riccamente decorato, nonché l’Arco di Giano bifronte, un passaggio coperto sorretto da quattro pilastri con volte a crociera risalente al IV sec. d.C.

Conclusa questa avventura a ritroso nel passato è stato bello congedarci, stanchi ma soddisfatti, con un arrivederci.